mercoledì 9 aprile 2014

L'amore prima o poi arriva. E ti incula.

Io amo leggere, da sempre, da quando ero bambina. Leggevo i classici romanzi per ragazzi, da Robinson Crusoe a Piccole Donne, quelle raccolte di piccole storie accompagnate da disegni che cercavo di riprodurre con miseri risultati – Ciao, sono Margherita e sono sempre quella che ha scritto al pupazzo Uan per dire che il mio problema era quello di non saper disegnare – oppure gli immancabili Topolino conservati nello sgabello bianco anni '70 del bagno che mi hanno fatto compagnia nei veri momenti del bisogno. Se poi il fumetto era stato dimenticato sul comodino in camera, mi arrangiavo con le etichette dello shampoo o dell'ammorbidente sopra la lavatrice. Per chi è di Torino, vi consiglio il bagnoschiuma Trisol di Colenghi in Piazza Solferino: un bottiglione da un litro, una confezione marrone piuttosto bruttina, ma tanto da leggere sul retro. Una garanzia.
Ho avuto il periodo di fissazione dei grandi classici – commedie di Shakespeare, il Piacere di D'Annunzio (scusate, ma lo devo dire: che due cojoni!), il Fu Mattia Pascal... – poi nell'adolescenza sono passata ai romanzi rosa di bassa lega, la cui trama era più o meno la stessa: lei ama lui, lui ama lei, lui parte per la guerra, lei si consola facendosi pastrugnare da un altro ma pensa a lui, lui torna dal fronte dopo vent'anni – 'ste guerre sono sempre lunghissime - tendenzialmente senza una gamba, e si ritrova lei con i capelli bianchi e un figlio di cui non sapeva l'esistenza. Bacio. Happy end. Son cose belle, viva la cultura.
In seguito ho avuto il periodo politico, in cui leggevo libri che pesavano quanto un macigno – sia per il volume, sia per il contenuto – e facevo tanta tenerezza al Maritino, quello stesso sentimento di delicato affetto che si ha verso un bambino quando fa vedere orgoglioso il suo disegno della mamma che è rappresentata come uno sgorbio senza busto e culo, con le braccia che escono dalle orecchie, ma gli si dice che è un Picasso in erba. Come dire: non capisci una beneamata, ma apprezzo lo sforzo.
Ora spazio parecchio nelle mie scelte, ma se c'è una cosa che mi piace è leggere a voce alta al Maritino, un modo per condividere con lui una cosa che mi ha colpito o che mi è piaciuta particolarmente. Che se lo facesse lui con me, alla seconda riga starei già pensando ad altro.
L'altro giorno mi sono addormentata leggendo dei vecchi post che mi ero persa di un blog che seguo con entusiasmo: ti asmo. Già il titolo è una genialiata. L'autrice è Enrica Tesio, una ragazza di Torino che non conosco, ma con cui abbiamo tanti amici in comune: trentaquattrenne con due figli piccoli e un compagno che l'ha lasciata, ma che le ha dato la voglia di scrivere. Lei spiega “la verità sull'amore, che prima o poi arriva. E ti incula.” Con la sua penna fatta di tasti è capace di far commuovere, di far riflettere, ma sopratutto di far ridere e ieri sera, leggendo al Maritino a voce alta uno dei suoi post, siamo finiti a ridere fino alle lacrime. Il post in questione era questo, poi ditemi voi se non fa scassare. Enrica scrive così bene da farmi invidia, scrive così bene da riuscire a lasciarti qualcosa con la sua profondità di donna ferita, ma anche se parla di frivolezze.
Me la immagino sempre trafelata tra lavoro e bimbi da gestire, e così oggi ho pensato ad una ricetta molto veloce, ma che non manca di gusto, perfetta per un aperitivo. I vol au vent sono belli che fatti perché comprati, basta scaldarli un po' in forno per renderli più fragranti, poi si farciscono con una delicata crema di prosciutto e si finisce con una croccante granella di pistacchi. Sono belli da vedere e buoni da mangiare, anche sul divano con in mano un libro.

A casa mia...se un libro non ti piace, chiudilo. Non ti basteranno tutti i giorni della tua vita per leggere ciò che di bello è stato scritto.

Vol au vent con spuma di prosciutto e pistacchi

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